LA TORRIDA ESTATE DI BEEP BEEP CONTRO WILLY “IL COYOTE”
MUSICA DA ASCOLTARE: “Blowin’ In the wind” – Bob Dylan
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Se fosse l’Australia mancherebbero solo i canguri e i diavoli della Tasmania.
Se fosse il Messico mancherebbe Speedy Gonzales coperto dal piccolo sombrero in cerca di un fresco riparo dove fare una siesta, ma siamo in Abruzzo e quello che vedo negli ultimi giorni assomiglia vagamente alle pianure aride americane di Willy “il Coyote”. Da tempo il vento caldo soffia imperituro, asciugando ogni cosa, terra, foglie, persone e sospinge ai cattivi pensieri.
Ormai è dalla metà di maggio che persiste una siccità tremenda, la terra è arsa, bisognerebbe fare la danza della pioggia, ma si alzerebbe solo un polverone tremendo. Senza dimenticare le temperature da vero solleone!
Non c’è da meravigliarsi dato che non è la prima torrida estate che ci fa boccheggiare come pesci fuor d’acqua, ma con un po’ di spirito di osservazione si può comprendere che finora, in quest’anno bizzarro, la provvida pioggia come una “manna dal cielo” è scesa poche volte. Quest’anno in effetti la vegetazione è partita lentamente, i germogli della vite non si sono sviluppati in modo così vistoso a causa delle basse temperature primaverili che, successivamente, hanno lasciato il posto a due mesi di caldo ed assenza di piogge. Sia tra i filari che tra i tendoni è ancora difficile osservare una copertura omogenea di foglie, la ridotta chioma delle piante di vite in un certo senso ha permesso di farle acclimatare al caldo, ma adesso cominciano a mostrare segni di sofferenza. Per molti aspetti questa stagione ricorda quella del 2017, ma con una primavera molto più avara di piogge, scenari che ormai il Prof Attilio Scienza, docente di viticoltura all’Università di Milano, afferma che saranno sempre meno straordinari tali da imporci riflessioni sui strumenti che avevano a disposizione i nostri predecessori, non l’irrigazione o le conoscenze sullo stress idrico bensì la genetica, la selezione.
Questo possiamo osservarlo tra un vecchio vitigno proveniente da una selezione “massale” ed uno nuovo proveniente da selezione clonale, così come tra vecchi sistemi d’allevamento con la vegetazione molto espansa e nuovi sistemi con chiome molto ridotte. Difficile trarne delle conclusioni generiche, credo che ogni sistema biologico sia figlio del territorio in cui cresce e non una rigida macchina da adattare forzatamente a terroir dalle caratteristiche eterogenee, per cui spetterebbe all’agronomo comprendere se il sistema viticolo può adattarsi o no, se può essere sostenibile o no, basandosi sulla dote migliore che ha in possesso: l’osservazione.
L’osservazione per l’agronomo è la chiave di lettura di ogni fenomeno che avviene nell’ecosistema in cui opera, l’elemento da cui prendere spunto per agire repentinamente, senza farsi condizionare da preconcetti o vecchie abitudini ormai inadeguate. Tale assioma non dovrebbe essere dimenticato ne dall’agronomo ne dall’agricoltore, anche in un agricoltura 4.0 che si avvale di importanti tecnologie a supporto delle decisioni in campo, come le così dette DSS (Decision Support System) e di strumenti avanzati come droni, satelliti e database interconnessi.
Fu il dott. D’amario, collega e maestro ormai sin dagli albori della mia professione di enologo, a catturare la mia attenzione verso l’importanza di un’acuta osservazione in campo.
Avveniva spesso durante i nostri “coloriti” dibattiti d’estate nella scelta di una strategia di difesa fitosanitaria condivisa, tanto che tra una sigaretta ed approfondite discussioni, spuntò un amarcord universitario del dott. D’amario di un professore d’altri tempi che citò, durante una lezione di fitoiatria, una famosa opera di un pittore francese realista dell’800, “l’Angelus” di Jean François Millet.
Senza ombra di dubbio, secondo il docente universitario, l’opera poteva essere una chiara rappresentazione di come le avversità della natura potessero riflettersi duramente sulla vita agreste dei poveri contadini all’alba dell’industrializzazione che si faceva spazio nel tardo ‘800. Il messaggio è così immediato che il dipinto sarebbe dovuto apparire sulla copertina di ogni libro di fitoiatria per marcare la drammaticità di una natura ostile all’uomo. L’immagine del dipinto fu così forte per me che non potei fare a meno di documentarmi approfonditamente sull’opera scoprendo l’originale significato del dipinto che mirava ad accentuare la fragilità e l’impotenza dei lavoratori della terra in quei tempi, in attesa di un segnale di aiuto dal cielo che li preservasse dalla fame e dalla miseria. Il dipinto originariamente fù titolato: “Preghiera per il raccolto di patate”. In seguito fu tramutato in “Angelus”. La visione del quadro fece riemergere in un rapido flashback ricordi della mia infanzia, in cui mi divertivo a creare disordine tra i libri che mia madre usava per insegnare. Di uno in particolare mi ricordavo: “Fontamara” di Ignazio Silone, sulla cui copertina era rappresentato un particolare del dipinto del pittore abruzzese Teofilo Patini, “Vanga e Latte”, in cui una madre amorevole porgeva il seno al suo piccolo dopo aver interrotto il lavoro nei campi, mentre alle sue spalle, con grande fatica il suo congiunto cercava di incidere l’arida terra con la vanga.
Anche in questa rappresentazione, il dipinto esprimeva il concetto di accettazione della dura vita dei campi. Credo che il messaggio che può derivare dall’osservazione di queste due nitide rappresentazioni di un mondo agricolo ormai lontano non sia stato totalmente dimenticato ai giorni nostri. Spesso aleggia ancora tra gli “addetti ai lavori” un atteggiamento di diffidenza e di rassegnazione verso il destino imprevedibile che ci può riservare la volta del cielo.
Forse è per questo che quotidianamente scendo in vigna ad osservare, cercando di capire cosa sta cambiando davanti ai miei occhi.
Controllare se le foglie sono abbastanza verdi o sono appassite dal caldo, macchiate dalle malattie o bucate da qualche insetto poco gradito.
Verificare se la terra è secca, spaccata, ricoperta di infestanti o ben affinata.
Osservare se le persone che lavorano in vigna lottano contro il tempo o assecondano bene lo sviluppo della vite.
Valutare se le scelte intraprese giorno dopo giorno sono attuabili oppure irrealizzabili.
Immaginare cosa ci riserverà la prossima vendemmia che a breve arriverà.
Spesso le risposte non arrivano subito, forse per averle prima dovremo ascoltare il vento, come cantava Bob Dylan perché, probabilmente, è l’unico modo per evitare di rincorrere la natura senza cedere alla rassegnazione evitando di fare come il magro e quasi macilento Willy “il Coyote” che, morso dalla fame, inseguiva l’unica preda papabile laggiù nel deserto dove viveva: l’imprendibile Beep Beep .