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  /  cronache di vino   /  Diversamente Ancestrali

TEMPO DI LETTURA: 7 minuti

MUSICA DA ASCOLTARE: You’ve got a friend – Lucio Dalla – 1981

TESTO DA LEGGERE: Roma Caput Vini – Giovanni Negri, Elisabetta Petrini

Detto, fatto! Lo scorso 22 Aprile, nella bellissima cornice di Spazio Pingue a Sulmona, si è svolta un’interessante manifestazione alla scoperta del fantastico mondo dei vini Ancestrali, in collaborazione con l’Associazione Italiana Sommelier di Sulmona. Tutto è cominciato per gioco durante un sabato uggioso d’inverno. L’istrionico Massimo Iafrate venne a trovarmi nel mio “quartier generale” in quel di Pratola Peligna e come spesso succede, quando avviene il nostro incontro, darsi un tono di serietà tra noi due diventa un’impresa molto difficile. Senza convinzione buttammo giù alcune idee, poi ancora altre e così via, finché non ci accorgemmo che la risposta alle nostre perplessità era tra le mie mani: una bottiglia di vino Ancestrale! Perché non fare una serata di degustazione con questi vini molto particolari? Chissa! Entrambi eravamo legati ad una profonda volontà di uscire fuori dagli schemi. Così facemmo!

C’era un primo percorso da compiere: bere tanti ancestrali… che sacrificio! Difatti di lì a poco mi recai dal “mitologico” Luigi, storico ristoratore pescarese, nonché propositore di numerosi vini “funambolici” nel suo locale, accompagnato da una ciurma di colleghi assetati. Bisognava approfondire l’argomento:

Io: “Luigi, dobbiamo studiare gli ancestrali, ubriacaci di bolle”

Luigi: “Ne ho uno scaffale pieno, punta semplicemente il dito ed inizio a sciabolare, ho dei “Pet-nat”, “Col Fondo” ed Ancestrali tradizionali, a te la scelta.”

Io: “Volevo solo degustare un’ancestrale!”

Luigi: “La fai così facile?”

Ancestrali in “gabbia”

Effettivamente ignoravo quante declinazioni di bolle allettanti possono trovarsi sotto il nome di vini “Ancestrali”. Catturare il “fermento” può sembrare un gioco da ragazzi, ma di metodi ce ne sono tanti.

Ancestrali tradizionali, “Col fondo”, “Pet-Nat” sono tecniche che rappresentano lo spartiacque tra vini spumanti e vini frizzanti, tra metodo classico e Martinotti. Incarnano perfettamente un metodo dai confini poco definiti, spesso sovrapposti, forse perché sono strettamente legati a variegate tecniche artigianali, la cui storia affonda in quella delle famiglie contadine dove ciò che viene disegnato una volta non può essere cambiato, vini quotidiani capaci di un’articolazione ed una profondità del tutto diversa dai vini convenzionali.

La danza del “fermento”

Non restava che organizzare l’evento, io e Massimo eravamo pronti, la delegazione sulmonese dell’AIS Abruzzo era più agguerrita di noi, mancava solo un piccolo dettaglio: scegliere i vini. Nessun problema, per questo c’era il Biondo! Come ogni buon “pusher” di fiducia che si rispetti lui sa sempre quale “perla etilica” consigliarti. Dal nord al sud Italia la scelta è molto variegata, difatti dopo un incontro carico di vicendevoli punti di vista, arrivò la fumata bianca sulla lista dei vini: un Trebbiano spoletino, un Trebbiano laziale, un Pallagrello campano in uvaggio con l’Aglianico e due rosati da Montepulciano rigorosamente abruzzesi. Cinque vini ancestrali molto diversi tra loro. Mancava un tocco di storia, la “Blanquette de Limoux”, l’antenato dello Champagne, che grazie ai monaci benedettini dell’abbazia di Saint-Hilaire, circa 150 anni prima del noto Dom Pérignon nel 1531, iniziarono a lavorare sulle tecniche di vinificazione in bottiglia. La lista sembrava fatta, ma non era tutto! Dovevamo “farla strana”, e così fu. Per l’ultima scelta ci siamo spostati sulla Loira, territorio di grandi vini e spettacolari formaggi. Potevamo scegliere un classico Sauvignon Blanc o un tipico Chardonnay ma sarebbe stato scontato. Un rosato era quello che ci voleva, se poi ottenuto da Gamay, Seibel e Grolleau ancora meglio! Ora la lista dei vini era davvero strana ma completa.

In compagnia di Massimo Iafrate. Una coppia “diversamente ancestrale”

Il termine “ancestrale” mi ha sempre affascinato, inizialmente ho impiegato tempo a comprendere l’essenza e la tipologia di questo vino, anche perché il termine difficilmente si collega al mondo delle “bollicine”, piuttosto riconduce al mondo degli antenati, a discendenze e tradizioni sentite come recondite ed inspiegabili. Solo successivamente ne ho compreso il significato, nel fare un’ancestrale glissiamo in bottiglia quel tumulto, quel fermento del primordiale cambiamento dell’uva. Forse ci fu la volontà di procrastinare questa affascinante metamorfosi, ingabbiare il movimento che produce l’effervescenza di questi vini. “Come scattare una foto con una Polaroid”, afferma Massimo, “immortalare un momento e poi agitare la pellicola per scoprire che quello che vedi non è esattamente come te lo aspettavi”. Se poi li volessimo sboccare per rimuovere i segni del passato, afferma Massimo, “diventerebbero come ascoltare un inverosimile porno alla radio”.

C’è un indiscutibile piacere sensoriale nel bere questi vini, la loro croccantezza si ripercuote sul palato richiamando facilmente la bevuta. Penso ai vini contadini che a primavera puntualmente riprendevano la fermentazione alcolica dai pochi zuccheri residui che ancora possedevano. Spesso conservati dentro grandi damigiane di vetro venivano lasciati riposare fino all’estate, momento adatto per consumare un piacevole “frizzantino” fatto in casa. Forse tutto è nato per gioco oppure, come spesso succede nei vini artigianali da un piacevole inconveniente, chissà! L’imperfezione di questi vini è la loro peculiarità, esattamente quello che puoi trovare in un’ancestrale, elementi inaspettati che diventano piacevoli ed appaganti per il gusto. Vini sporchi, agitati e spontanei, come adolescenti irrequieti, senza filtri, pieni di contraddizioni, vini imperfetti che cercano una loro dimensione, non amano prendere tempo, ma nel tempo si trasformano.

Ancestrali controtempo

La serata è andata avanti all’insegna dell’improvvisazione, grazie alla follia di Massimo Iafrate e di un fantastico pubblico affascinato dall’argomento. Tutti i vini sono stati piacevolmente degustati a sorpresa insieme agli ospiti, unite a considerazioni, battute e tanto stupore che ha dato movimento alla serata, proprio come le “bollicine” ancestrali che abbiamo degustato, fino ad arrivare sul finale con una riflessione d’obbligo: Quanto bisogna attendere per consumare un vino ancestrale?

Probabilmente poco, non sono vini pensati per il futuro ma sono fotografie di un momento. Durante la degustazione abbiamo percepito che qualche produttore gioca a renderli eleganti oppure molto longevi, altri li lasciano integri senza fronzoli. Senza ombra di dubbio non importa quello che diventeranno, sono particolarmente interessanti quando li assaggiamo nella loro immediatezza, soprattutto per le piacevoli emozioni racchiuse nelle loro evanescenti bollicine.

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